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“Sulla liberazione della donna” di Simone de Beauvoir

A cura di Anna Maria Verna

“A parer mio si dovrebbe sognare un mondo umano in cui le qualità delle donne e degli uomini fossero intrecciate, perché naturalmente c’è del buono anche in una certa aggressività maschile, in una certa ambizione e bisognerebbe che le donne avessero allo stesso modo quelle qualità, ma conservassero le loto e anche le imponessero agli uomini.”

Questa è una della frasi di Simone de Beauvoir che ho sottolineato a riga doppia nella breve intervista “Sulla liberazione della donna” a cura di Anna Maria Verna ed edita da E/O.

È in questo concetto di intreccio, di contaminazione, di commistione, di unione, di fluidità che vedo l’unico futuro della razza umana. Quel che mi auguro è un’equità vera, che non significa uguaglianza – perché non siamo certo tutti uguali – ma piuttosto rispetto paritetico per le individualità uniche e le predisposizioni personali.

E sono anche pienamente d’accordo con Simone de Beauvoir quando dice: “Non si deve pensare che rappresenti una grande superiorità per la donna sanguinare tutti i mesi rispetto ai poveri uomini che non sanguinano, perché non è vero”.

Un altro aspetto che mi ha colpito, anche se non mi era affatto nuovo (vedete qui sotto un paio di tavole di Liv Strömquist a riguardo, tratte da I’m every woman, che ho tradotto per Fandango Libri), sono state le sue riflessioni sul potere. Dice infatti: “Quando una donna ha il potere, lo usa esattamente come un uomo: non è differente da loro, anzi spesso è più tirannica, perché per lei è un fatto talmente nuovo e importante avere il potere che finisce quasi per essere peggiore degli uomini”. Infatti non ci occorre una mera sostituzione del potere maschile con quello femminile, ma qualcos’altro.

Simone de Beauvoir conclude l’intervista dicendo “Ho molta speranza nel femminismo”. Tutto bello? Sembrerebbe, se non fosse che l’intervista è del 1977 e, spaventosamente, molti aspetti che affronta sono più che attuali. Questo è ciò che mi ha lasciato di più il segno, di questo testo. La strada è lunghissima e i cambiamenti sono lenti, lentissimi.

Per concludere, questo libello è senz’altro una buona introduzione alla letteratura femminista, ma a chi già ne mastica potrebbe risultare un po’ scontato. Molte delle cose le conoscevo già, com’è ovvio che sia 43 anni dopo la pubblicazione, ma mi ha lasciato spunti di riflessione.

Io l’ho letto nell’ambito di un gruppo di lettura, gli altri libri che vedete nella prima foto sono alcuni dei testi in programma.

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“Bunny” di Mona Awad

“Oh Bunny sei geniale!” ha scritto Margaret Atwood su Twitter.

Non posso che essere d’accordo. “Bunny” è genio puro, che rasenta la follia. Ma che dico, è follia pura. Lettura scorrevolissima, protagonista intrigante e dalla prima all’ultima pagina la sensazione di non capire fino in fondo. A tratti disturbante, con pizzichi di disgusto e orrore, ma permeato di una forza magnetica che mi teneva incollata alle pagine.

Samantha, scrittrice in erba, frequenta la Warren, una scuola d’arte molto esclusiva ed elitaria. Quasi tutti i suoi colleghi studenti sono della classe alta, ricchi e viziati. Soprattutto le Bunny, un gruppetto di quattro ragazze che frequentano il suo stesso seminario di scrittura creativa. Ma Samantha non ha idea di cosa scoprirà una volta che avrà conosciuto meglio le sue compagne e sarà entrata in quella che la migliore (l’unica?) amica della protagonista chiama “la setta delle bonobo”. Vi dico solo che quel che succede in quei soggiorni di lusso fa davvero accapponare la pelle.

La follia però si annida ovunque, e presto sarà difficile distinguere ciò che è reale da ciò che la mente di Samantha produce.

Mona Awad, come vi ho già detto, ha avuto la capacità di farmi uscire da un blocco del lettore. Questo perché il suo libro è davvero impossibile da mettere giù.

“Bunny” di Mona Awad è edito in Italia da Fandango Libri nella traduzione di Chiara Brovelli.

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“Storia della nostra scomparsa” di Jing-Jing Lee

“A volte ci succede di aspettare qualcosa senza neanche accorgercene, sedendo alla finestra un anno dopo l’altro, come cercando il postino all’orizzonte, in vista di una lettera importante. Lo capiamo solo aprendogli la porta, quando ci guarda dritto in viso. C’è il desiderio che qualcosa accada e c’è l’attesa colma di speranza. Come nel nome di Wàng Dì 望弟, ‘che dà il benvenuto a un fratello’. L’attesa per qualcuno che ancora non c’è. Che potrebbe anche non venire mai, ma che tutti aspettano con ansia.”

“Storia della nostra scomparsa” di Jing-Jing Lee, edito in Italia da Fazi Editore nella traduzione di Stefano Tummolini, racconta una pagina nera della storia del Novecento, un dramma dentro il grande dramma, quello delle 慰安妇 (wèi’ānfù), donne di conforto che “servivano” i soldati giapponesi durante la Grande Guerra. In questo caso si parla dell’isola di Singapore, occupata dall’esercito nipponico, ma le stesse violenze sono state perpetrate ai danni di donne di molti altri paesi del Sud-Est asiatico.

La storia di Wang Di durante i primi anni Quaranta, il suo rapimento da parte dell’esercito giapponese, la reclusione nella casa di conforto durata due anni, la fine della guerra, si interseca con quella di Wang Di anziana, che non ha mai rivelato a nessuno il suo enorme, mastodontico segreto. La terza voce è quella di Kevin, giovane ragazzo di origini cinesi nella Singapore odierna, la cui nonna ha anche lei celato un gigantesco segreto per tutta la vita…

La crudezza delle parti di Wang Di giovane è dunque intervallata dalla semplicità, seppure intrisa di rammarico, delle parti contemporanee. Tuttavia, a mio avviso, più che dare un attimo di respiro dalle atrocità, queste parti moderne ci lasciano col fiato sospeso, appesi a un filo, con l’ansia di ritrovare la giovanissima Wang Di (che aveva solo diciassette anni quando fu rapita dai soldati) e di capire quale sarà la sua sorte.

Un libro forte, un pugno nello stomaco, una lettura imprescindibile. E, proprio nella citazione in apertura, mi ritrovo. Ritrovo la me stessa di oggi, in balia di questa situazione più grande di noi, in attesa di non si sa neanche cosa. Di tornare alla vita com’era prima non ho mica tanta voglia… Quindi sono in attesa di un grande cambiamento.

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“Midnight Sun” di Stephenie Meyer

Finalmente – ma solo perché non sono solita portarmi dietro un libro per molto tempo, visto che sono una lettrice iperveloce – ho finito “Midnight sun” di Stephenie Meyer, quinto libro della saga di Twilight. Come ormai sapranno anche i muri, in questo libro l’autrice racconta il primo capitolo della saga dal punto di vista del vampiro Edward. Le opinioni che ho letto sono contrastanti, e voglio dire la mia, da amante delle tecniche narrative.

Io l’ho letto in lingua originale, ma in italiano lo trovate con lo stesso titolo, edito da Fazi Editore nella traduzione di Donatella Rizzati, Michele Zurlo, Valentina Niccoli e Alessandro Ciappa.

Credo che Stephenie Meyer sia riuscita appieno nel suo intento, con “Midnight sun”. Nessuno ci aveva promesso che entrare nella mente di Edward sarebbe stato piacevole o sempre divertente. Molti hanno accusato la scrittrice americana di aver tirato il tutto troppo per le lunghe, ma io sono dell’avviso che lo abbia fatto di proposito. Il tempo, per i vampiri, non scorre alla stessa velocità di quello degli umani. Dunque, anche il tempo narrativo che segue i pensieri di Edward è dilatato. Il bel vampiro ha 24 ore al giorno per pensare e, visto che il suo cervello gira enormemente più veloce di un cervello umano, durante un avvenimento riesce (volente o nolente) a fare tanti, tantissimi ragionamenti. Per questo il tempo narrativo del libro rallenta o accelera a seconda di quali emozioni prova il protagonista. L’inizio – l’incontro con Bella e il sentirne l’odore per la prima volta – è infatti travolgente, mentre la parte centrale – in cui Edward cerca di trattenersi, senza riuscirci, e rimugina sulla possibilità di una relazione con quell’essere umano – è tediosamente lenta e arzigogolata. Proprio come lo è per lui. La fine, invece, in cui Edward si lascia trasportare dal compito di proteggere Bella, è nuovamente agile, rapida e scattante.

La spiegazione per i lunghi tempi morti (ahahah!) pieni di elucubrazioni la dà lo stesso Edward, più o meno a metà libro: “Non fu la prima volta in vita mia in cui desiderai che il mio cervello potesse rallentare un minimo il passo. Poterlo costringere a lavorare alla velocità degli umani, anche solo per un giorno, per un’ora, così da non avere il tempo di ossessionarmi più e più volte per i medesimi problemi privi di soluzione.”

Insomma, trovo “Midnight sun” un progetto letterario ben congegnato e perfettamente riuscito. Non ha mai preteso, Stephenie Meyer, di scrivere alta letteratura, ma su di me ha un effetto impagabile: è un balsamo lenitivo per il cervello, soprattutto nei momenti di forte carico intellettuale dovuto al lavoro. In giornate in cui non riuscirei a incamerare neanche una briciola di conoscenze in più, leggere i suoi libri mi aiuta a defaticare le sinapsi e a dormire serenamente, oppure a fare pause riposanti. Questo per me non ha prezzo.

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Liv Strömquist

Liv Strömquist – © Maja Flink

Liv Strömquist è una delle più note fumettiste svedesi ed è anche una popolare dj radiofonica.

Dopo la laurea in Scienze Politiche ha esordito nel fumetto con Hundra procent fett (Cento percento grasso, 2005) cui hanno fatto seguito Drift (2006), Einsteins fru (La moglie di Einstein, 2008), Prins Charles känsla (I sentimenti del principe Carlo, 2010) e molti altri.

È un’attivista, si occupa di tematiche femministe e politiche di accoglienza. I suoi articoli sono pubblicati su Trade New, Galago, Ordfront Magazine, Aftonbladet e Dagens Nyheter.

Il frutto della conoscenza, che ho tradotto per Fandango nel 2017, è stato pubblicato in venti paesi e ha venduto più di 50.000 copie in Svezia. Nel 2018 è uscito, sempre per Fandango Libri, I sentimenti del Principe Carlo, nel 2019 I’m every woman, nel 2020 La rosa più rossa si schiude, nel 2022 Dentro la sala degli specchi e nel 2023 Astrologia.

Io e Liv Strömquist al Festival di Internazionale a Ferrara nel 2017

Eva Eriksson

Eva Eriksson, nata il 13 maggio 1949 a Halmstad, in Svezia, è un’illustratrice e scrittrice svedese. Ha illustrato numerosi libri per bambini di scrittori fra cui Ulf Stark, Ulf Nilsson, Rose Lagercrantz, Barbro Lindgren e Viveca Lärn. Alcuni dei suoi libri illustrati sono stati anche tradotti in lingua inglese. Si è educata al Konstfack di Stoccolma.

Di libri illustrati da Eva Eriksson ho tradotto La mia vita felice, Il mio cuore ride e saltella e Quando sono stata super felice di Rose Lagercrantz per il Castoro e Sorellina Coniglio e i suoi amici di Ulf Nilsson per Bohem Press.

Illustrazione tratta da Sorellina Coniglio e i suoi amici
Illustrazione tratta da Il mio cuore ride e saltella di Rose Lagercrantz

Arne Dahl

Arne Dahl, pseudonimo di Jan Arnald (Sollentuna, 11 gennaio 1963), è uno scrittore e critico letterario svedese.

A Stoccolma collabora con l’Accademia di Svezia. Scrive principalmente romanzi gialli sotto il suo pseudonimo ed è famoso soprattutto per la serie di romanzi incentrati sul “Gruppo A”, pubblicata in Italia da Marsilio. La serie, tradotta in venticinque lingue e premiata con il Palle Rosenkrantz Prisen e più volte con il Deutscher Krimipreis, è ambientata a Stoccolma e ha per protagonista Paul Hjelm.

Di Arne Dahl ho tradotto Apnea per Marsilio, a quattro mani con Alessandro Borini.

Emma AdBåge

Emma AdBåge – © Richard Gustafsson

Emma AdBåge, nata nel 1982 a Linköping in Svezia, è una delle più promettenti illustratrici svedesi di nuova generazione. Ha debuttato nel 2001 e da allora ha illustrato molti libri, sia con testi propri che di altri autori.

Ha vinto il premio Sven Rydén nel 2011, il premio Elsa Beskow nel 2013 e nel 2018, il premio Lennart Hellsing insieme alla sorella gemella Lisen Adbåge nel 2017.

Nel 2018 ha vinto il premio August, il più importante premio svedese ai libri per bambini, per La Buca, scritto e illustrato da lei.

Nel 2020 ha vinto il Premio Andersen per il miglior libro 6/9 anni per La Buca.

Di Emma AdBåge ho tradotto La Buca, La Natura e La ferita per Camelozampa e Il regalo e Facciamo che io ero un supereroe! per Beisler Editore. Ho inoltre tradotto per Beisler l’albo illustrato Stupido disegno! scritto da Johanna Thydell e i libri per ragazzi La Ester più Ester del mondo e Per davvero, Ester? scritti da Anton Bergman.

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