In questo sabato un po’ così, in cui il sole non si decide a uscire del tutto, giocando a nascondino con il grigiore che ormai da settimane ci accompagna, mi prendo qualche minuto per riflettere su “Legend”, il secondo libro della saga di Caraval di Stephanie Garber.
Partiamo dal presupposto che leggendo sono in piena comfort zone letteraria. Se non mi dessi una regolata, probabilmente extra lavoro leggerei solo libri per ragazzi, fantasy, distopici e young adult. Poi mi piace anche trascinarmi in altri generi e spesso scopro libri che mi entrano nel cuore, ma se voglio solo coccole letterarie è lì che mi rifugio.
La trilogia di Caraval, dunque, mi si addice molto. Ho iniziato il primo libro senza sapere assolutamente cosa aspettarmi e mi sono lasciata trascinare in questo pazzo, magico mondo rimanendone piacevolmente sorpresa. Legend, però, ha alzato l’asticella e si è dimostrato nettamente superiore al primo sia per caratterizzazione dei personaggi che per intreccio. L’unica cosa lontana da me è la costante attenzione per i vestiti, che trovo un po’ superflua.
Mentre “Caraval” era narrato dal punto di vista di Rossella Dragna, “Legend” è visto dagli occhi della sorella, Donatella Dragna, forse uno sguardo più interessante e a me affine. L’ambiente si sposta dalla Isla de los sueños a Valenda, l’antica capitale dove una volta regnavano i Fati, adesso governata dall’imperatrice Elantine, sovrana dell’Impero di Mezzo. Qui si svolge una nuovo Caraval, che Donatella dovrà cercare di vincere per scoprire il vero nome di Legend e salvare sua madre.
Inganni, astuzie, bugie, tatuaggi, sotterfugi, magia, indizi fuorvianti e intrighi amorosi la fanno da padrone. Nulla è come sembra e nessuno è del tutto sincero. Dopotutto, è di Caraval che stiamo parlando.
Insomma, un mondo ben congegnato e un secondo libro più riuscito del primo, per gli amanti del genere. Un balsamo per cervelli stanchi.
Adesso mi immergo in “Finale”, capitolo conclusivo della saga, di cui credo vi parlerò a breve.
“Legend” di Stephanie Garber è pubblicato in Italia da Rizzoli nella traduzione di Maria Concetta Scotto di Santillo.
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