Traduttrice editoriale SV>IT, DA>IT specializzata in letteratura infantile, young adult e fumetti

Autore: wp_10673977 (Pagina 8 di 14)

“Le cronache di Narnia – Il leone, la strega e l’armadio” di C.S. Lewis

Continua il nostro viaggio nel meraviglioso regno di Narnia…

Abbiamo concluso il secondo libro, “Il leone, la strega e l’armadio”, edito in Italia da Mondadori nella traduzione di Chiara Belliti. Questa è la Narnia che tutti conoscono, quella di Lucy, Edmund, Susan e Peter. Quella della strega bianca, che altri non è se non Jadis.
 
Leggendolo con i miei figli, io godo del loro trasporto e vedo le cose anche attraverso i loro occhi. Ciò premesso, a me Narnia piace tantissimo, pur con i suoi difetti. Ho trovato questo secondo libro, proprio come il primo, a tratti scarno e poco dettagliato: molte cose C.S. Lewis le nomina en passant, dandole poi per scontate. Trovo però che per l’età di riferimento vada bene così. I bambini spesso non hanno bisogno di grandi descrizioni e accettano le regole di un nuovo mondo senza farsi troppe domande. Quindi credo che per godere appieno della magia di Narnia si debba lasciarsi un po’ andare, senza guardare le cose attraverso il filtro dell’esperienza di questo mondo. È come leggere le fiabe: certe cose si accettano e basta, in cambio dell’incanto della storia.
 
Le ambientazioni sono magnifiche e alcuni personaggi sono davvero strepitosi, come il signor Tumnus e i signori Castoro. Dei quattro ragazzi quella che porto più nel cuore è Lucy, con la sua innocente freschezza. Il cammino di Edmund, se pur tortuoso, è plausibile e molto umano. Non tutti sono buoni sempre e comunque, e cadere in tentazione è facile.
 
Clive Staples Lewis, nord-irlandese nato a Belfast, rimase ateo fino ai trent’anni, quando si convertì al cristianesimo della chiesa anglicana. Questa parte di lui ha lasciato un’evidente impronta nei suoi libri, infatti quasi l’intero racconto può essere letto come metafora religiosa o comunque morale. Il grande pregio di Lewis è stato però di non cadere mai nel bieco moralismo: la storia è sempre al primo posto.

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Katitzi nella buca dei serpenti

Katitzi nella buca dei serpenti di Katarina Taikon, ill. Joanna Hellgren, Iperborea Casa Editrice, 2021, ISBN 9788870915761.

Katarina Taikon ha scritto 13 libri sulla piccola Katitzi e la sua famiglia rom. Sono storie piene di allegria, vivacità e inventiva che raccontano le ingiustizie, l’ignoranza e l’esclusione viste attraverso gli occhi di un bambino. 

Katitzi è una bambina vivace e curiosa, e per questo finisce spesso per cacciarsi nei guai. Ma stavolta rischia davvero grosso: è scivolata in una buca piena zeppa di serpenti! Per fortuna se la caverà solo con un grande spavento perché, come dice suo padre, Katitzi è «nata con la camicia». La brutta avventura basta però per convincere papà Taikon a smontare le tende e cercare un nuovo posto dove stabilirsi. La vita è difficile per le famiglie rom come quella di Katitzi: in Europa infuria la Seconda guerra mondiale, l’esercito nazista tedesco ha già invaso la Danimarca e potrebbe arrivare fino in Svezia per annientare anche qui gli ebrei e i rom. Katitzi e la sua numerosa famiglia, e tanti altri come loro, sono costretti a spostarsi continuamente, la gente li guarda con sospetto e lo stato non li tratta come gli altri cittadini svedesi: addirittura, i bambini non sono ammessi a scuola. Così, dopo un lungo viaggio in treno, la famiglia si sposta verso nord, e noi seguiremo Katitzi alla scoperta di nuovi posti e nuove conoscenze.

Katitzi nella buca dei serpenti è il terzo episodio della saga ispirata alla storia personale dell’autrice, che racconta piccole e grandi ingiustizie attraverso lo sguardo di una bambina simpaticissima e molto intraprendente.

Età di lettura: dai 6 anni

Non perderti i primi due libri della serie: Katitzi e Katitzi e il piccolo Swing

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Mostri nella notte

Mostri nella notte di Mats Strandberg e Sofia Falkenhem, DeA Planeta, 2021, ISBN 9788851184476.

Frank Steen è un ragazzo curioso: ama le avventure come quelle dei libri, ma ha pochissimi amici con cui viverle. Talmente pochi che alla sua festa di compleanno partecipano solo i genitori e Alice, la strana vicina di casa, col cane Uffe.

Come se non bastasse, Uffe gli morde pure un dito! È un morso piccolissimo, eppure cambierà la vita di Frank per sempre. Quella notte il ragazzo fa un sogno mozzafiato: pelo, zanne, corse, inseguimenti nel bosco. Al suo risveglio, nel letto, trova delle foglie secche. Com’è possibile? Il sogno si ripete, le foglie ritornano, e tutti, nella cittadina di Yrred, iniziano a parlare di un mostro della notte. Tutti tranne la strana Alice.

E se Frank fosse diventato… un uffe mannaro?

Mostri nella notte è il primo libro di una trilogia dedicata al piccolo Frank, quindi tenete gli occhi aperti!

Età di lettura: dagli 8 anni

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“Le cronache di Narnia – Il nipote del mago” di C.S. Lewis

Oggi vi parlo di una lettura che sto portando avanti ad alta voce con i miei figli, la sera, ma che condivido anche con il gruppo di lettura #incontriamocianarnia organizzato du Instagram da @bookshelf20 e @carlottaminghetti
 
Dopo aver concluso, come lettura condivisa, i sette libri di Harry Potter (intervallati anche da altri libri), io e i cuccioli abbiamo deciso di intraprendere il viaggio nel regno di Narnia. Avevamo visto i tre film usciti e io avevo letto alcuni dei libri molti anni fa, ma è stato comunque come vivere tutto per la prima volta.
 
“Il nipote del mago”, il primo libro della saga, edito in Italia da Mondadori nella traduzione di Chiara Belliti, è in realtà stato scritto da C.S. Lewis dopo i primi cinque libri di Narnia, come un prequel che porta alla scoperta della nascita del regno.

Photo cred: Virgina Mori Ubaldini

Alla lettura, infatti, è proprio così che appare. “Il nipote del mago” è un’introduzione, una storia della storia del mondo, un meraviglioso tuffo nel momento in cui tutto è iniziato. L’avventura di Polly e Digory, i due piccoli protagonisti, serve solo da corollario al cantico della creazione del regno di Narnia da parte di Aslan, vero nucleo del romanzo.

Qui scoprirete da dove viene la perfida strega Jadis, come ha fatto il lampione a finire a Narnia e perché gli animali di Narnia parlano. Scoprirete chi sono stati il primo re e la prima regina di Narnia e da dove viene l’armadio magico che più avanti Lucy, Edmund, Susan e Peter attraverseranno.
 
Allora? Siete pronti a partire? Unico requisito: tornare bambini e accettare la magia senza farsi troppe domande. Non ve ne pentirete.

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Photo cred: Virgina Mori Ubaldini

Qui sotto vedete alcune delle illustrazioni di Pauline Baynes contenute nel bellissimo volume in lingua originale che mi sono portata a casa come souvenir da Belfast, città natale di C.S. Lewis.

Digory nella Foresta di Mezzo
Jadis crea scompiglio a Londra
Aslan crea il Regno di Narnia
Digory e Polly in groppa a Fragolino

Quando sono stata super felice

Quando sono stata super felice di Rose Lagercrantz ed Eva Eriksson, Il Castoro, 2021, ISBN 9788869667046.

Torna Dani con le sue avventure, che hanno conquistato i piccoli lettori di tutto il mondo!

La scuola sta per finire e Dani è felice: ci sono tante cose belle in arrivo. La festa della scuola, per esempio. La nonna l’ha aiutata a scegliere un vestito bellissimo, e si è perfino fatta fare i buchi alle orecchie! Una brutta notizia però fa crollare tutto e, per la prima volta, Dani pensa di non farcela. Ma per fortuna ci sono i nonni e gli amici a sostenerla. E ancora una volta, la felicità è dietro l’angolo.

Non perderti i primi due libri di Dani: La mia vita felice e Il mio cuore ride e saltella

Età di lettura: dai 7 anni

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Trovi un’intervista alla scrittrice Rose Lagercrantz qui

Rose Lagercrantz – © Erik Sjöström

“Bambini di farina” di Anne Fine

Sempre un po’ in differita con la fine della lettura, vi espongo le mie impressioni su “Bambini di farina” di Anne Fine, prima tappa del meraviglioso #carnegietour creato da Mauro, alias @chiediloallorango

Anne Fine, per chi non la conoscesse, è una scrittrice inglese autrice di molti romanzi per bambini e ragazzi. Ha debuttato alla fine degli anni Ottanta e un suo titolo che forse riconoscerete è “Un padre a ore (mrs. Doubtfire)”, da cui è stato tratto il famoso film con Robin Williams.

“Bambini di farina”, tradotto per Salani editore da Massimo Birattari, narra di un esperimento scientifico da parte di un professore in una classe di “irrecuperabili”. I ragazzi (tutti maschi) ricevono un sacco di farina da tre chili ciascuno, a cui badare per tre settimane come se fosse un bambino. Se il “bambino di farina” perde peso perché si buca, prende peso perché si bagna, si sporca lo studente a cui era affidato prenderà un voto più basso. I ragazzi devono anche tenere un diario in cui raccontano ciò che fanno e che provano in relazione all’esperimento.

Subito ognuno degli studenti tira fuori le proprie doti: c’è chi mette su un “asilo nido per bambini di farina” facendosi pagare per badare ai bambini degli altri, c’è chi se ne frega del proprio e non fa nulla per prendersene cura.

E poi c’è Simon, il protagonista, che fin da subito si affeziona alla sua “bambina”, senza dubbio una femmina. Simon, che è cresciuto con la madre e la nonna, dopo che il padre se n’è andato. Ho trovato Simon molto dolce e riflessivo, come se avesse scelto la via più facile, quella dello svogliato, solo per non doversi mettere in gioco troppo. In realtà è capace anche di grande profondità.

Durante il gdl abbiamo discusso molto sulla questione delle classi divise per “capacità” e “livello”, cosa che credo sia ancora in voga negli Stati Uniti, ma probabilmente anche in Inghilterra. Il parallelismo con le differenze tra un liceo classico e il più “scadente” degli istituti professionali è d’obbligo. Il fatto che i professori stessi non ripongano alcuna speranza nella classe che hanno davanti, purtroppo, è ancora molto comune.

Nel complesso un ottimo romanzo che ha suscitato molteplici pensieri e riflessioni. Proprio come dovrebbero fare i libri.

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“La regina degli scacchi” di Walter Tevis

Beth… Oh, Beth, come farò senza di te?

Ho finito di leggere “La regina degli scacchi” con il gruppo di lettura già da un po’, anche se la discussione finale era ieri, e sono ancora in lutto. Abbandonare Beth mi ha lasciato un grande vuoto dentro.

Come molti ormai sapranno, visto il successo dell’omonima serie Netflix con protagonista Anya Taylor-Joy, “La regina degli scacchi” (tradotto in italiano da Angelica Cecchi, uscito prima per Minimum Fax, poi ripubblicato da Mondadori nella collana Oscar Absolute) racconta la storia di Elizabeth Harmon, una ragazza che a otto anni finisce in orfanotrofio dopo la morte della madre (il padre già non c’era più). Lì, alla Methuen Home For Girls, le uniche persone con cui lega sono la sfrontata Jolene e il custode William Shaibel, che le insegna a giocare a scacchi nel seminterrato cambiandole la vita per sempre. La piccola Beth, infatti, è un prodigio e presto gli scacchi le daranno enormi soddisfazioni. Dopo qualche anno Beth viene adottata dalla signora Wheatley e da suo marito (che però è un personaggio davvero inesistente, a tratti dannoso), una coppia di Lexington, Kentucky. Nella nuova città, Beth partecipa ai primi tornei di scacchi, in cui si conferma essere un genio. Da lì in poi il libro (e anche la serie Netflix, molto fedele al testo), segue le sue vicissitudini tra scacchi, dipendenze da alcol e da tranquillanti.

“La regina degli scacchi”, però, è molto di più. È la storia di una donna alla ricerca del suo posto in un mondo prettamente maschile. E, sebbene il mio trascorso sia molto diverso da quello di Beth, mi sono rivista nella sua lotta, nel suo essere diversa, nel suo fregarsene di ciò che pensano gli altri ma allo stesso tempo soffrirne, nel suo non voler rinunciare a se stessa e alla sua natura, nel suo tentare di riuscire a provare delle emozioni che nessuno le ha insegnato a capire. Le sue sofferenze nei rapporti interpersonali, di cui non comprende appieno il meccanismo, fanno più e più volte venir voglia di abbracciarla e sussurrarle all’orecchio “Ce la farai. Rimani te stessa. Non mollare.”, perché Beth è infinitamente vera, reale, umana.

Dopo averlo letto, davvero non riesco a capire come un capolavoro del genere possa essere caduto nel dimenticatoio per così tanti anni. Il romanzo, il cui titolo originale è “The Queen’s Gambit” (Il gambetto di donna, in riferimento a una famosa apertura di scacchi), è stato scritto da Walter Tevis nel 1983 ed è arrivato in Italia solo nel 2007 pubblicato da Minimum Fax, poi recuperato da Mondadori quest’anno. L’autore ha dichiarato di essersi ispirato alla storia del celebre scacchista Bobby Fischer, ma non temete, non è un libro solo per appassionati di scacchi. È infatti fruibilissimo anche da chi di scacchi non capisce un fico secco, perché la storia di Beth è davvero coinvolgente. Perfino chi non capisce neanche metà delle mosse descritte si finirà le unghie per la tensione durante le partite decisive e gioirà dei successi della protagonista, che arriva perfino a diventare grande maestro internazionale.

Un grazie infinito a Chiara Reali e a tutta la Oscar Vault per aver assecondato il mio entusiasmo, permettendo a me, Ilaria di @unastanzatuttaperse e Melissa di @melissaleggelibri di mettere su questo nostro gruppetto di lettura… Il secondo grazie (non certo in ordine di importanza) va infatti a Ilaria e Melissa per aver organizzato il #lareginadegliscacchigdl insieme a me! Vi voglio bene ragazze! E un grande grazie anche a tutte le ragazze del gruppo di lettura… siete tante, ma voi sapete chi siete. Grazie per averci accompagnato in questo viaggio!

E se ancora avete dubbi, non esitate! Leggetelo!

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La chiusura della partita finale contro Borgov. (spoiler: Beth giocava con i bianchi)

“Finale” di Stephanie Garber

Anche se è passato un po’ da quando ho finito di leggerlo, ecco finalmente le mie riflessioni su “Finale” di Stephanie Garber, tradotto in italiano da Maria Concetta Scotto di Santillo per Rizzoli.

Dopo l’ascesa del mio gradimento da “Caraval” a “Legend”, un po’ temevo che questo terzo capitolo mi deludesse, che la storia diventasse trita e ritrita, ma devo dire che Stephanie Garber se l’è cavata egregiamente.

Il punto di vista e il soggetto narrativo questa volta saltano da Rossella a Donatella. L’autrice, infatti, intervalla uno o più capitoli in cui seguiamo una sorella con quelli in cui seguiamo l’altra.

Le storie d’amore, che alla fine di “Legend” erano ancora confuse, prendono forma definita a mano a mano che la trama si dipana e l’intreccio dell’avventura si intrica per poi risolversi in maniera sensata.

Cercando di non fare troppi spoiler, per chi non avesse ancora letto i primi due capitoli, posso dire che siamo ancora a Valenda, ma come in un videogioco in cui vengono sbloccati nuovi luoghi la città si apre ancora di più al nostro sguardo. Infatti, con la liberazione dei fati, anche oggetti e luoghi fatidici sono nuovamente accessibili. Fanno dunque parte del gioco non solo il Principe di Cuori, ma anche la Stella Caduta, l’Assassino, la Regina Non-Morta, l’Avvelenatore e molti altri, e luoghi come il Serraglio, la Biblioteca Immortale e il Mercato Scomparso assumono un ruolo fondamentale. Senza la Chiave Illusoria o la Mappa di Tutto, poi, la storia non avrebbe senso. Scopriamo ancora di più sulla storia di Paloma, o Paradise, la madre delle due sorelle Dragna. E le implicazioni di queste scoperte determineranno il destino di tutto l’Impero di Mezzo.

Come per gli altri due volumi, ho trovato eccessivo il riferimento a vestiti, scarpe e fiori, ma questo non mi ha impedito di apprezzare moltissimo la storia e il world building. Un ottimo libro, nel suo genere. Il mio preferito della trilogia rimane “Legend”, ma “Finale” è un finale degno, se mi passate il gioco di parole.

E non dimenticate: è solo un gioco, ma tutti i giochi hanno una fine!

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“L’uomo in fuga” di Stephen King (Richard Bachman)

È appena partita la prima tappa del mio #gdlscopriamostephenking e già non vedo l’ora di parlarvi del romanzo distopico “L’uomo in fuga” del grande maestro dell’horror.

“L’uomo in fuga”, pubblicato in Italia da Sperling & Kupfer nella traduzione di Delio Zinoni, uscì per la prima volta nel 1982 sotto lo pseudonimo Richard Bachman, che Stephen King utilizzò per cinque romanzi prima di essere riconosciuto. Come dice lui stesso nella prefazione “Perché ero Bachman”: «Credo di averlo fatto per raffreddare un po’ l’atmosfera, per fare qualcosa nelle vesti di qualcuno che non fosse Stephen King. Credo che tutti i romanzieri siano incorreggibili mistificatori ed è stato divertente essere qualcun altro per un po’, nel mio caso Richard Bachman».

Corre l’anno 2025 e gli Stati Uniti sono dilaniati dal divario sociale, dall’inquinamento atmosferico, dalle malattie croniche e dalla violenza. La popolazione è tenuta a bada dalla tri-vù – televisione tridimensionale che ogni famiglia deve avere in casa per legge – e dai Giochi che si susseguono incessantemente sugli schermi. Nei Giochi – che hanno nomi tipo Macinadollari, Scavati la fossa, Pistole allegre – i poveri, gli storpi e i malati, la “feccia” della società, gareggiano gli uni contro gli altri spesso per un pugno di dollari. L’uomo in fuga e protagonista del libro è Ben Richards, 28 anni, un metro e ottantotto, quoziente di intelligenza Weschler 126. Richards vive con la moglie Sheila e la figlia Cathy, di diciotto mesi e gravemente malata d’influenza, a Co-Op City, quartiere povero e violento della città di Harding. Dopo essersi licenziato da un lavoro presso la General Atomics che gli avrebbe garantito una morte lenta e la sterilità, Richards non ha più soldi per sostenere la famiglia e la moglie Sheila è costretta a prostituirsi per comprare alla figlioletta le medicine più scadenti al mercato nero. Esasperato dalla situazione, Ben Richards decide di andare al grande Games Building per candidarsi ai Giochi.

Vista la sua forma fisica e la sua intelligenza, Ben viene scelto per il Gioco più remunerativo, ma anche più pericoloso, L’uomo in fuga. Lo svolgimento è semplice: il concorrente, dopo dodici ore di vantaggio e con in tasca una bella somma di denaro, deve riuscire a scappare e non farsi trovare dai Cacciatori, assoldati dalla Rete per ucciderlo. Chiunque fornisca informazioni sul concorrente in fuga viene ricompensato. Per ogni ora di sopravvivenza, il concorrente guadagna cento nuovi dollari. Se riesce a resistere per trenta giorni (cosa mai successa nella storia dei Giochi), ne guadagna un miliardo.

E così, scandita dai 101 brevissimi capitoli intitolati “Meno 100..”, “Meno 099…” fino ad arrivare a “… 000”, seguiamo l’avventura al cardiopalma di Richards. Ovviamente sarà violenta, terribile, ansiogena.

Per non fare spoiler sul libro, chiudo con una riflessione sulla aspra critica alla società che permea il romanzo: Stephen King, qui, ha certamente voluto seguire le tracce di maestri e capostipiti della distopia come Aldous Huxley e George Orwell, mettendo in prosa ragionamenti sul futuro del mondo e della specie umana. Inquinamento, violenza, razzismo, disuguaglianze sociali e l’effetto negativo della televisione sono solo alcuni dei temi che ricorrono nelle pagine di questo libro. Nonostante ciò “l’uomo in fuga”, come lo stesso King afferma, «non è nient’altro che una storia, [che] procede alla velocità ridicola di un film muto e tutto quello che non è storia viene allegramente buttato». Ma in quella ridicola velocità, in quella che “non è nient’altro che una storia” c’è tanto, tanto di più.

Al momento direi che è il libro migliore del 2021. Ma l’anno è ancora lungo, chissà quali altri piaceri letterari mi riserverà!

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Astrid Lindgren

Astrid Lindgren alla sua scrivania nell’appartamento di Dalagatan 46 – © Astrid Lindgren Company

Astrid Anna Emilia Ericsson (nota al mondo con il cognome da sposata, Lindgren) nacque il 14 novembre 1907 nella fattoria di Näs, vicino a Vimmerby, nella regione dello Småland. Qui – in un vero e proprio idillio di campagna svedese, non molto diverso dalle ambientazioni di Emil o di Bullerby – passò l’infanzia con il fratello maggiore Gunnar e le sorelline Stina e Ingegerd. Lei stessa, nel libro autobiografico sui suoi genitori intitolato “Samuel August di Sevedstorp e Hanna di Hult”, ha descritto la propria infanzia così: «Giocavamo e giocavamo e giocavamo, è un miracolo che non siamo morti dalle giocate».

Da sx: Samuel August (padre), Ingegerd, Astrid, Stina, Gunnar e Hanna (madre) – © Astrid Lindgren Company

Un’infanzia pacifica che lasciò il posto a un’adolescenza travagliata. Già nel 1921 un suo racconto apparve sul giornale locale, il Wimmerby Tidning, e in paese cominciarono a chiamarla “la Selma Lagerlöf di Vimmerby”. Tra il 1924 e il 1926 lavorò per quello stesso giornale e quando, nel 1926, rimase incinta del caporedattore, un uomo sposato, decise di trasferirsi a Stoccolma per evitare lo scandalo. Il figlio Lars nacque a dicembre 1926 a Copenaghen e Astrid fu costretta a lasciarlo presso una famiglia affidataria per i primi anni di vita.

La giovane Astrid a dx, vestita con abiti maschili – © Astrid Lindgren Company

Nel 1928 Astrid cominciò a lavorare per il KAK, il Club dell’Automobile Reale, come segretaria di Sture Lindgren, suo futuro marito. Nel 1930 riportò in Svezia il figlio Lars, che stette per un anno dai nonni a Vimmerby. Nel 1931, finalmente, Astrid e Sture si sposarono e la futura scrittrice riuscì a portare suo figlio a Stoccolma, nell’appartamento di Vulcanusgatan 12. Karin, figlia di Astrid e Sture, nacque nel 1934. Nel 1941 la famiglia si trasferì nello storico appartamento di Dalagatan 46, dove Astrid Lindgren visse e lavorò fino alla morte.

Negli anni a venire alcune sue fiabe vennero trasmesse per radio, ma fu solo nel 1944 che il suo libro “Le confidenze di Britt-Mari” (tradotto in Italia da Laura Cangemi per Mondadori) vinse il secondo premio di un concorso indetto dalla casa editrice Rabén & Sjögren, segnando così il debutto ufficiale di Astrid Lindgren come scrittrice.

Nello stesso anno, Astrid scrisse le avventure di Pippi Calzelunghe per regalarle alla figlia Karin nel giorno del suo decimo compleanno. Contestualmente, inviò anche il manoscritto alla casa editrice Bonniers, che lo rifiutò.

L’anno successivo, il 1945, segnò un vero e proprio anno di svolta nella sua vita. Astrid Lindgren, infatti, inviò il manoscritto di “Pippi Calzelunghe”, rivisto in più punti, al concorso indetto dalla Rabén & Sjögren e vinse il premio come miglior libro fascia 6-10 anni. Nell’anno successivo, poi, la casa editrice la assunse come redattrice per la letteratura infantile.

Astrid Lindgren alla Rabén & Sjögren – © Astrid Lindgren Company

Dal 1946 in poi le sue giornate erano strutturate all’incirca così: la mattina stenografava i propri libri a letto e poi li trascriveva a macchina, il pomeriggio lavorava come redattrice per la Rabén & Sjögren e la sera leggeva i manoscritti di altri autori per la casa editrice.

Dal 1970, dopo essere andata in pensione come redattrice, Astrid Lindgren cominciò a essere molto presente nei dibattiti culturali e politici della Svezia, esprimendo la propria opinione, spesso scomoda, ogni volta che riscontrava un’ingiustizia o una falla nella società. Memorabili furono la fiaba “Pomperipossa in Monismania”, che denunciava l’assurdità delle sistema delle tasse svedesi, e la Lex Lindgren, la legge sui diritti degli animali che il primo ministro Ingvar Carlsson le dedicò nel giorno del suo ottantesimo compleanno e che lei considerò per nulla soddisfacente. Anche il discorso pronunciato alla cerimonia di premiazione del Premio per la Pace dei librai tedeschi, assegnatole nel 1978, segnò la storia. Successivamente pubblicato con il titolo “Mai violenza!”, il discorso è un’aperta accusa contro la violenza domestica a danno dei bambini e le punizioni corporali e psicologiche di ogni tipo. Ebbe un effetto dirompente, tanto che l’anno successivo in Svezia fu istituita una legge apposita tutt’oggi in vigore che vieta ogni tipo di punizione corporale contro i bambini.

Astrid Lindgren come opinionista – © Astrid Lindgren Company

Astrid Lindgren smise di scrivere solo nel 1992, quando non riusciva più a battere a macchina i propri manoscritti, e nell’arco della sua lunga e prolifica vita scrisse 34 romanzi, tre raccolte di racconti e 41 albi illustrati. Numerosi sono poi i libri usciti come raccolte o come albi illustrati tratti dai romanzi, anche dopo la sua morte, avvenuta nel 2002. Oltre a questi, Astrid scrisse circa 30 sceneggiature per le serie tv e i film tratti dai suoi libri: in alcuni casi, come per “Vacanze all’isola dei gabbiani” (edito in Italia da Salani nella traduzione di Laura Draghi), uscì invece prima la serie tv e poi il romanzo. Nell’ambito della produzione cinematografica, inoltre, Astrid Lindgren scrisse numerosissimi testi di canzoni per le colonne sonore dei suoi film.

I libri di Astrid Lindgren hanno venduto finora più di 165 milioni di copie e sono stati tradotti in più di 100 lingue!

Astrid Lindgren con alcune delle sue opere tradotte – © Astrid Lindgren Company

Di Astrid Lindgren ho curato l’edizione integrale italiana di Pippi Calzelunghe, pubblicata da Salani nel 2020 in occasione del 75° anniversario della prima pubblicazione del romanzo; l’albo illustrato Conosci Pippi Calzelunghe?, pubblicato da Nord-Sud edizioni nel 2020; l’albo illustrato a fumetti Pippi scappa di casa, pubblicato da Nord-Sud nel 2021; il libro di ricette In cucina con Pippi Calzelunghe, pubblicato da Salani nel 2023; l’albo illustrato Pippi salva il Natale, pubblicato da Salani nel 2024; a più mani, le due raccolte di racconti Greta Grintosa e Peter e Petra, pubblicate da Iperborea nel 2017 e nel 2018; l’albo Quando Johan trovò una vitellina, illustrato da Marit Törnqvist e pubblicato da Camelozampa nel 2021. Ho inoltre curato Tutto dormirà, illustrato da Marit Törnqvist e pubblicato da Camelozampa nella traduzione poetica di Chiara Carminati.

Io alla scrivania di Astrid Lindgren nel suo appartamento storico in Dalagatan 46, Stoccolma
Io a Näs, la casa natale di Astrid Lindgren a Vimmerby – © Pia Eriksson
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