È appena partita la prima tappa del mio #gdlscopriamostephenking e già non vedo l’ora di parlarvi del romanzo distopico “L’uomo in fuga” del grande maestro dell’horror.
“L’uomo in fuga”, pubblicato in Italia da Sperling & Kupfer nella traduzione di Delio Zinoni, uscì per la prima volta nel 1982 sotto lo pseudonimo Richard Bachman, che Stephen King utilizzò per cinque romanzi prima di essere riconosciuto. Come dice lui stesso nella prefazione “Perché ero Bachman”: «Credo di averlo fatto per raffreddare un po’ l’atmosfera, per fare qualcosa nelle vesti di qualcuno che non fosse Stephen King. Credo che tutti i romanzieri siano incorreggibili mistificatori ed è stato divertente essere qualcun altro per un po’, nel mio caso Richard Bachman».
Corre l’anno 2025 e gli Stati Uniti sono dilaniati dal divario sociale, dall’inquinamento atmosferico, dalle malattie croniche e dalla violenza. La popolazione è tenuta a bada dalla tri-vù – televisione tridimensionale che ogni famiglia deve avere in casa per legge – e dai Giochi che si susseguono incessantemente sugli schermi. Nei Giochi – che hanno nomi tipo Macinadollari, Scavati la fossa, Pistole allegre – i poveri, gli storpi e i malati, la “feccia” della società, gareggiano gli uni contro gli altri spesso per un pugno di dollari. L’uomo in fuga e protagonista del libro è Ben Richards, 28 anni, un metro e ottantotto, quoziente di intelligenza Weschler 126. Richards vive con la moglie Sheila e la figlia Cathy, di diciotto mesi e gravemente malata d’influenza, a Co-Op City, quartiere povero e violento della città di Harding. Dopo essersi licenziato da un lavoro presso la General Atomics che gli avrebbe garantito una morte lenta e la sterilità, Richards non ha più soldi per sostenere la famiglia e la moglie Sheila è costretta a prostituirsi per comprare alla figlioletta le medicine più scadenti al mercato nero. Esasperato dalla situazione, Ben Richards decide di andare al grande Games Building per candidarsi ai Giochi.
Vista la sua forma fisica e la sua intelligenza, Ben viene scelto per il Gioco più remunerativo, ma anche più pericoloso, L’uomo in fuga. Lo svolgimento è semplice: il concorrente, dopo dodici ore di vantaggio e con in tasca una bella somma di denaro, deve riuscire a scappare e non farsi trovare dai Cacciatori, assoldati dalla Rete per ucciderlo. Chiunque fornisca informazioni sul concorrente in fuga viene ricompensato. Per ogni ora di sopravvivenza, il concorrente guadagna cento nuovi dollari. Se riesce a resistere per trenta giorni (cosa mai successa nella storia dei Giochi), ne guadagna un miliardo.
E così, scandita dai 101 brevissimi capitoli intitolati “Meno 100..”, “Meno 099…” fino ad arrivare a “… 000”, seguiamo l’avventura al cardiopalma di Richards. Ovviamente sarà violenta, terribile, ansiogena.
Per non fare spoiler sul libro, chiudo con una riflessione sulla aspra critica alla società che permea il romanzo: Stephen King, qui, ha certamente voluto seguire le tracce di maestri e capostipiti della distopia come Aldous Huxley e George Orwell, mettendo in prosa ragionamenti sul futuro del mondo e della specie umana. Inquinamento, violenza, razzismo, disuguaglianze sociali e l’effetto negativo della televisione sono solo alcuni dei temi che ricorrono nelle pagine di questo libro. Nonostante ciò “l’uomo in fuga”, come lo stesso King afferma, «non è nient’altro che una storia, [che] procede alla velocità ridicola di un film muto e tutto quello che non è storia viene allegramente buttato». Ma in quella ridicola velocità, in quella che “non è nient’altro che una storia” c’è tanto, tanto di più.
Al momento direi che è il libro migliore del 2021. Ma l’anno è ancora lungo, chissà quali altri piaceri letterari mi riserverà!
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